Gli enigmi della Sagrestia Nuova di San Lorenzo

Osserva acutamente David Leavitt che uno straniero va a Firenze “non solo per guardare, ma per acquisire uno spessore maggiore.” È uno dei tentativi riusciti di avvicinarsi alla soluzione del mistero fiorentino.


Una delle componenti di questa aspirazione alla “pienezza personale”, ovvero della “volontà di acquisire uno spessore maggiore”, è il desiderio di partecipare attivamente alla scoperta dei capolavori fiorentini, desiderio che prende tante persone agli Uffizi, a Pitti e nelle Cappelle Medici, ma che difficilmente scaturisce davanti ai quadri fiorentini nei musei di Londra, Parigi e New-York. Forse perché là i quadri ci sono stati portati e sono privi del loro contesto, mentre a Firenze i quadri appartengono al luogo e sono in sintonia con le pareti e con la vista che si gode dalle finestre dei musei. Tra l’altro, nonostante i considerevoli sforzi del Vasari, sono ben poche o punte le notizie relative alla vita dei pittori e degli scultori e a quello che pensavano delle loro opere. Diventa dunque possibile un’interpretazione personale, e ciò accade quando, a detta di Erenburg, i quadri ci aprono gli occhi e poi sono loro a svelarsi a causa del fervore dei nostri occhi. Tanto più che i fiorentini del‘ 400 e del‘ 500 non conoscevano la critica artistica, ma anche se l’avessero conosciuta avrebbero ugualmente creato non per i critici d’arte, ma per ciascuno di noi.

Nelle sue note Maksim Gorkij dice che a Firenze, agli Uffizi, quasi ogni giorno scopriva qualcosa, ad esempio, chi fossero i veri autori di certi quadri, a chi assomigliasse un autoritratto. Dopo aver cambiato idea, nel giro di due giorni, sull’attribuzione dell’ “Adorazione dei Magi” a Botticelli ed essersi formato un’opinione del tutto imprevista, Gorkij scrive: “Per voi sono ridicole le mie indagini e tutto il mio sconcerto? Ci rido sopra anch’io ma, vedete, questa città pian piano mi sta facendo impazzire: c’è tanta bellezza qui, tante cose che toccano il cuore… Tutte queste cose antiche, meravigliosamente semplici e particolari, tutte queste cose ti fanno tremare il cuore.”

Michelangelo fu educato nella casa di Lorenzo il Magnifico e lo adorava. Ne conosceva anche la grande, mai cancellata nostalgia per il fratello Giuliano, ucciso a coltellate in Duomo all’epoca della congiura ordita dai Pazzi e da papa Sisto IV. Da quel giorno il carattere allegro di Lorenzo e il suo modo di governare aperto e democratico mutarono. Lorenzo il Magnifico e suo fratello Giuliano erano gli eroi di Michelangelo, il che non vale per i Medici successivi. “Se Firenze accettò per tre generazioni la supremazia medicea, divenuta ereditaria per via delle circostanze, era solo perché i Medici ispiravano rispetto per le loro virtù e i loro meriti. Erano forti perché il loro dominio non era legato a nessun titolo particolare e quindi nessuno poteva né metterlo in dubbio, né abolirlo. Erano considerati i primi cittadini di Firenze, perché tutti li riconoscevano come tali e permettevano che lo fossero”[1].


[1] Marcel Brion, Michelangelo, Molodaja gvardia, 2002, p. 41 (in traduzione russo).

Subito dopo la morte di Lorenzo suo figlio, che non brillava per nessun talento, fu esiliato da Firenze, dopodichè i Medici ritornarono più volte al potere, per lo più con l’aiuto di eserciti stranieri. Nel 1520 su ordine di Giulio Medici, divenuto poi papa con il nome di Clemente VII, Michelangelo comincia il lavoro sulla cappella funebre dei Medici presso la Basilica di San Lorenzo. Secondo il progetto di Clemente VII dovevano trovarvi collocazione le tombe di Lorenzo il Magnifico e di suo fratello Giuliano e di due discendenti più recenti della famiglia, Lorenzo duca d’Urbino e Giuliano duca di Nemours, nonché dello stesso papa Clemente VII. Michelangelo crea le sue migliori opere di scultura, i monumenti a Lorenzo e a Giuliano (rispettivamente nipote e figlio di Lorenzo il Magnifico) e la Madonna col Bambino, elabora la soluzione architettonica del sepolcro, in cui non c’è più spazio per altri monumenti, e interrompe per sempre il lavoro. Per di più partecipa all’insurrezione contro i Medici e per due anni dirige a Firenze i lavori di fortificazione contro l’esercito mediceo.

Uno dei migliori conoscitori delle opere di Michelangelo, il francese Marcel Brion, dice: “Perché Michelangelo cominciò dai monumenti funebri ai due duchi, persone abbastanza insignificanti, anziché iniziare subito dal monumento a Lorenzo il Magnifico, che era stato suo amico e protettore, e meritava sotto tutti gli aspetti di essere glorificato dal genio dello scultore? Ognuno se lo spieghi a modo suo.”[2]


[2] Ibidem.

Io sono convinto che nelle sculture funebri la mente e le mani del grande Michelangelo abbiano immortalato la memoria del grande Lorenzo il Magnifico e di suo fratello Giuliano. Michelangelo rinunciò volutamente alla somiglianza nell’eseguire le sculture, proprio perché lavorava per immortalare la memoria di Lorenzo il Magnifico e di suo fratello, e non dei loro deboli discendenti.

L’ultima volta che sono stato nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo, il 24 ottobre 2002, la mattina presto, ero solo e guardando attentamente attraverso i riflessi del marmo bianco i volti delle sculture dell’Aurora e della Notte, mi sono convinto di quanto siano giuste le parole di Muratov, secondo cui “nella Sagresta Nuova di San Lorenzo, dinnanzi alle tombe di Michelangelo, si può avvertire il tocco più puro e ardente dell’arte, che mai uomo abbia provato.” Inoltre mi sono formato la convinzione che nelle statue dell’Aurora e della Notte sia raffigurata la stessa donna, solo che una ha 20-25 anni e l’altra invece ne ha 35-40. Sempre lì ho cominciato a scrivere, sul retro di un fax ricvuto da Mosca, le righe che seguono:

Nella cappella dei Medici

Voi, che portate le catene della bellezza
E il peso della somiglianza,
Addormentate per sempre,
In voi, solo in voi si è incarnato il tempo –
Il limite di quello, che può fare un uomo.

Il languore del Mattino, il puro desiderio.
Svegliati e desidera tutto ciò che hai dintorno,
Prendi tutto ciò, che è bello nell’universo,
Apri il bel giro magico della giornata.
Ma le picche hanno acuito l’aspetto della Piazza,
E la beltà non salverà l’umanità,
Hanno già affilato i pugnali i Pazzi,
E la campana chiama al mattutino.

Risuona il Duomo, impallidisce il cardinale
Il segnale per la preghiera è il segnale per la strage.
Lultimo momento si agghiaccia:
È il confine della vita, dei tempi, degli inizi,

I quali non potranno mai terminarsi…
E il Mattino quasi si sveglia,
Con i presentimenti e con le passioni. Lei sogna ancora
E sente un vago: “perdona”.

Nella folla camminano quatti quatti i legati del Papa.
È l’ultimo dolce istante di Firenze,
Il castigo per lo splendore e per la brillantezza.
Un colpo e un grido. Ancora un colpo e un grido.

Un colpo e un grido. È caduto Giuliano.
Il sangue nella Signoria, il sangue sull’altare.
E per svegliarsi è troppo tardi o troppo presto.
Dormi fino alla fine, adesso ama nel sonno.
Dal Mattino tu diventerai in un istante la Notte,
Non ti svegliare, non sei più come una volta,
Hai visto l’assassinio nel tempio con gli occhi tuoi,
L’ira di Lorenzo, la disperazione di Cristo.

Quando si parla della Sagrestia Nuova di San Lorenzo va detto subito che neppure le foto più riuscite possono sostituire una visita. Questo vale non solo per l’aura e per l’atmosfera generale della cappella, ma anche per ogni singola statua. Appare evidente che le tre figure femminili, l’Aurora, la Notte e la Madonna sono le statue dominanti e creano nella cappella un triangolo magico, in cui il cuore si sente mancare e il respiro diventa affannoso.

Ho avuto la fortuna di visitare la cappella molte decine di volte negli ultimi dodici anni e complessivamente vi ho trascorso non meno di ventiquattro ore, di cui alcune in perfetta solitudine, senza neppure un turista.

E’molto difficile descrivere la magia, l’incanto, le sensazioni straordinarie. Alla somiglianza tra l’Aurora e la Notte si è aggiunta, nella mia percezione, la somiglianza di entrambe, in particolare dell’Aurora, con l’immagine della Madonna.

Alcuni artisti di mia conoscenza sono stati, su mia richiesta, nella cappella e hanno confermato questa somiglianza. Un’opera d’arte deve essere osservata attentamente. Il suo significato può essere svelato dal fervore dei nostri occhi. Il significato o i significati originari sono quelli che lo scultore stesso ha dato coscientemente alla sua opera, ma può aver aggiunto altri contenuti in modo inconsapevole. La soluzione dell’enigma può essere unica o ve ne possono essere molteplici. Alla metà del ‘900 ha preso campo nella critica d’arte la scuola dell’ “osservazione fissa”, secondo cui le conclusioni più azzeccate sono quelle basate sull’osservazione diretta dell’opera d’arte, senza il paraocchi delle opinioni comunemente accettate, ad esempio sullo stile, ecc.

Dalla somiglianza delle figure femminili scaturisce una prima teoria che si basa sull’idea, alquanto audace, che nella statua dell’Aurora, sulla quale, quando c’è una bella alba, cadono direttamente i raggi del sole, Michelangelo abbia rappresentato la scena dell’immacolata concezione. In effetti il volto dell’Aurora non raffigura necessariamente un risveglio pesante (come quando si nasce o si riemerge dal sonno notturno), al contrario evoca il languore sensuale del desiderio appagato che non può essere confuso con nient’altro. Una simile lettura della statua ha dei fondamenti evidenti. In un recentissimo studio britannico sulla statua dell’ “Aurora” si legge: L’“Aurora” si offre per la prima volta. O si sta svegliando o si trova in uno stato di inebriamento emotivo“[3].


[3] James Hall, Michelangelo and the Reinvention of the Human Body, London, 2005, p. 154.

Nell’ambito di questa teoria la statua della Notte è l’immagine della Vergine, straziata dalle sofferenze della Crocifissione e sprofondata in un sonno pesante, ma ora tranquillo, dopo l’Ascensione di Cristo in cielo.

E’ risaputo che quando parecchi anni dopo il Vasari in una lettera chiese a Michelangelo quale intento lo avesse guidato nel suo lavoro alla Sagrestia Nuova, lo scultore, ormai anziano, gli rispose che non se lo ricordava. Ma contemporaneamente Michelangelo tracciò a memoria lo schizzo del proprio progetto per la scala della Biblioteca Laurenziana. Quest’ultimo fatto mette in dubbio la veridicità dell’affermazione di Michelangelo a proposito della Sagrestia Nuova. Che cosa ha voluto nascondere Michelangelo?

Ma la teoria per cui ci troviamo di fronte a una rappresentazione della Vergine nuda e alla scena dell’immacolata concezione ci sembra troppo audace. Inoltre non trova un riscontro scientifico diretto negli studi a tutt’oggi noti.

Per questo vorrei esporre una teoria apparsa più tardi ma che ha dei seri, anche se indiretti, fondamenti scientifici.

Il mio scultore preferito è Michelangelo, il mio pittore preferito è Botticelli. Nella sala delle opere di quest’ultimo agli Uffizi non mi pare sia difficile notare, dal momento che i quadri sono collocati l’uno accanto all’altro, che la testa della Venere nel dipinto “ La nascita di Venere” viene utilizzata da Botticelli almeno per altre due Madonne. Mi pare non sia difficile notare che la figura nuda del quadro “La Calunnia” (l’ultima nell’opera di Botticelli) ricorda la Venere, un pò deformata e un pò invecchiata, della “Nascita di Venere”. Io questo l’ho notato, ma ne ho compreso il significato solo dopo aver letto il libro del famoso storico dell’arte inglese Kenneth Clark, direttore della London National Gallery. Per la prima volta nella storia della pittura cristiana Botticelli riutilizza la testa di un nudo in un altro quadro per creare l’immagine della Madonna.

Scrive Kenneth Clark: “Botticelli ha riutilizzato la stessa testa per le sue Madonne. Questa circostanza, che all’inizio è persino un po’ scioccante, a pensarci bene è, in effetti, l’espressione più alta dell’intelletto umano, splendente nell’atmosfera pura dell’immaginazione. Il fatto che la testa della nostra dea cristiana, con tutta la sua delicata capacità di capire e con una finissima vita interiore, possa essere collocata su un corpo nudo e ciò non crei alcuna stonatura costituisce il trionfo più alto della Venere Celeste”[4].


[4] Kenneth Clark, The Nude: A Study in Ideal Form, New York, 1956, p. 126.

Ma la stessa cosa può e deve essere detta delle statue dell’Aurora e della Madonna nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo.

Ma lasciamo per un attimo questa idea e torniamo a parlare della “Notte”, anche per riprendere il confronto con Botticelli. L’ultima nudo femminile presente nell’opera di Botticelli è una figura convenzionalmente chiamata “La Verità” nel dipinto “La Calunnia”. Kenneth Clark dà particolare risalto alla somiglianza tra Venere e la Verità della “Calunnia” e scrive:

“A prima vista ricorda la Venere, ma praticamente ovunque la fluidità è spezzata. Invece dell’ovale classico della figura di Venere, le braccia e la testa disegnano un arabesco medievale a forma di rombo con le linee a zig-zag. La lunga ciocca di capelli che avvolge il fianco destro si rifiuta intenzionalmente di seguirne le forme. Il disegno di Botticelli è sicuro e elegante, ma in ogni curva si sente il netto rifiuto del piacere...”

Ma Clark non si è spinto al di là della somiglianza e non ha cercato di stabilire un collegamento, basandosi sull’unità d’intenti dell’artista, tra gli elementi di questa triade: Venere-Madonna-Verità (Saggezza). Forse perchè gli studi risalgono a tempi diversi, con intervalli di anni e decenni.

La nostra seconda teoria si basa sul fatto che Michelangelo abbia riprodotto nella Sagrestia Nuova la stessa triade di Botticelli. E qui Kenneth Clark non è più in grado di aiutarci non solo perché, dopo aver notato la somiglianza tra le figure di Botticelli, non si è reso conto del loro trinomio, ma anche perché non è riuscito, purtroppo, a dare il giusto valore alle statue femminili di Michelangelo nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo. In particolare Clark scrive che “i seni della ‘Notte’ sono ridotti a inutili appendici e il ventre, invece di essere una dolce modulazione di altre rotondità, è un baule sformato, solcato da quattro profonde pieghe orizzontali”[5].


[5] Kenneth Clark, Op. cit., p. 292.

A questo punto viene la voglia di fare una pausa per sottolineare ancora una volta quanto siano estremamente soggettivi i giudizi, pur autorevoli, su questa scultura di Michelangelo. Non concordo assolutamente con una simile valutazione e con me la maggior parte di coloro che hanno visto la scultura. Un altro storico inglese, Antony Huges, scrive, ad esempio, che i contemporanei di Michelangelo esaltavano la figura della “Notte” per il suo fascino.[6]


[6] Antony Hughes, Michelangelo, London, 2003, p. 199.

E’ importante ricordare che Michelangelo creò la Sagrestia Nuova di San Lorenzo come un tutto unico e iniziò questo lavoro quasi a cinquant’anni, quando a Roma era già stato consacrato come il maggior scultore e pittore. A Roma, non a Firenze. Qui il primato nella pittura apparteneva ancora a Botticelli.

Michelangelo non poteva non conoscere, non notare, non sentire la triade di Botticelli, anzi, forse ne conosceva in modo alquanto esatto la concezione e il significato, per averlo appreso sia da Botticelli stesso che dai suoi contemporanei.

Inoltre Botticelli fu il maggior pittore mediceo, il più amato dalla famiglia Medici, l’artista che riuscì a immortalare in un suo dipinto Cosimo il Vecchio, suo figlio Piero, i nipoti Lorenzo (il futuro Magnifico) e Giuliano (ucciso nella congiura dei Pazzi), tutti i principali componenti dell’Accademia neoplatonica. Anche dopo il loro allontanamento dal potere i Medici continuarono a aiutare materialmente Botticelli.

Di solito la “Nascita di Venere” viene messa in relazione con gli ideali neoplatonici e spesso con la poesia di Poliziano e le idee di Ficino, noti studiosi dell’Accademia neoplatonica.

Tra i possibili consulenti di Michelangelo all’epoca del lavoro sulla Sagrestia Nuova di San Lorenzo viene indicato l’allievo più famoso del Ficino, che avrebbe potuto spiegargli le idee di cui un tempo i neoplatonici aveva reso partecipe Botticelli.

Si sa che Michelangelo e Botticelli si sono incontrati e possono aver avuto uno scambio di opinioni.

Lo storico dell’arte Antonio Paolucci ritiene che Botticelli fu il testimone e l’interprete più raffinato della élite del tempo e occupò la posizione migliore per comprendere lo spirito della sua epoca.[7]


[7] Antonio Paolucci, Botticelli and the Medici: A Privileged Relationship // Botticelli: From Lorenzo the Magnifizent to Savonarola, Milan: Skira; London: Thames & Hudson, 2003, p. 75.

Nella sua lezione del 1874 il famoso storico Ruskin caratterizzò Botticelli come “il teologo più colto, l’artista migliore e l’uomo più affabile che Firenze abbia mai prodotto”[8].


[8] Citazione tratta dall’articolo di Alessandro Gollizzi nella raccolta “Botticelli, From Lorenzo the Magnifizent to Savonarola”, p. 55.

Per dirla con parole semplici, si può essere certi che la triade di Botticelli : Venere-Madonna-Verità (Saggezza), o piuttosto un’altra immagine di Afrodite, non è casuale.

Nella “Pittura del ‘400” gli autori tedeschi parlano di affinità nell’opera di Botticelli tra le figure di Venere e quelle della Madonna.[9]


[9] Rose-Marie and Rainer Hagen, 15th Century Painting, Köln, 2001, p. 162.

“Era diffusa nel Rinascimento la raffigurazione di due Veneri a fianco, una delle quali rappresentava l’Amore Sacro e l’altra l’Amor Profano[10],” scrive un autore inglese.


[10] Marcus Lodwick, The Museum Companion. Understanding Western Art, London, 2003, p. 113.

Michelangelo non poteva non conoscere e non vedere la triade di Botticelli. Il fatto che nelle sculture femminili della Sagrestia Nuova si sia ispirato a Botticelli si vede dai disegni di figure femminili conservati alla Casa Buonarroti, dove, secondo l’opinione degli studiosi, si evidenzia un rapporto diretto con il ritratto di Simonetta Vespucci che è stata, a sua volta, “modella” di Botticelli.[11]


[11] Gilles Neret, Michelangelo, Taschen, 2004, pp. 80-81.

Ma pare evidente che per Michelangelo la cosa più importante fosse dare concretezza e risultare vittorioso in quella disputa sulla pittura e la scultura che un tempo era sorta tra lui e Leonardo da Vinci. Michelangelo ha raffigurato la sua “Nascita di Venere” con la testa della dea che, contrariamente al dipinto di Botticelli, è già stata coperta da un velo. I capelli che ondeggiano al vento permettono al pittore di lasciare il viso della Venere quasi astratto e indifferente. Invece Michelangelo nella Venere-Aurora è riuscito con il marmo ad esprimere tutto attraverso la mimica del volto. La gamba sinistra della sua Venere “Aurora” affonda in una sostanza che altro non è se non schiuma marina.

La signora Edith Balas, professoressa dell’ Università Carnegie Mellon (Pittsburgh, USA) nel suo libro “Una nuova interpretazione della Cappella Medici” riporta prove convincenti del fatto che la figura della “Notte” può e deve essere identificata con la gemella di Venere, la dea Afrodite, che è simbolo di saggezza, eternità e quiete, contrariamente all’interpretazione invalsa della figura di Venere-Afrodite, vista come divinità dell’amore e del piacere carnale.[12]


[12] Edith Balas, Michelangelo’s Medici Chapel: A New Interpretation, Philadelphia, 1995.

Michelangelo creò le sculture della Sagrestia Nuova nell’epoca successiva al Savonarola e non levigò il marmo del volto della sua Madonna, affinché non fosse così evidente la somiglianza con la figura di Venere nascente e la sua gemella Venere-Afrodite, che è strettamente collegata ai nomi conosciuti delle dee Ishtar, Astante, Cibele in quando grande divinità femminile della Madre.

La triade che Botticelli faticosamente elaborò in dieci anni della sua vita creativa (“Nascita di Venere”, 1484; la Madonna, 1487; e infine la “Calunnia”, 1495) è stata riprodotta anche da Michelangelo in dieci anni circa di lavoro sulle sculture della Sagrestia Nuova di San Lorenzo. Il confronto e la discussione dei numerosi dettagli relativi alla triade di Botticelli e Michelangelo non rientra nei limiti di un breve saggio e sarà oggetto del libro attualmente in preparazione dal titolo “Gli enigmi della Sagrestia Nuova di San Lorenzo”.


Fonte: Il testo succitato è un estratto da “Firenze a Mosca”, il capitolo appendice dal libretto multilingue di Pietro Barenboim e Alessandro Zakharov, intitolato “Il topo dei Medici e Michelangelo”, Letny Sad, Moscow, 2006.