Sono arrivato a Firenze la prima volta la mattina del 27 maggio 1993, il giorno in cui i terroristi hanno fatto esplodere un ordigno potente che in base ai loro calcoli avrebbe dovuto distruggere completamente la Galleria degli Uffizi. Conoscevo la città più che altro per sentito dire e per lo più dai romanzi sul mio artista preferito, Michelangelo (delle sue opere avevo potuto ammirare le copie in gesso al Museo Pushkin). Nel 1968, alla sessione primaverile della Facoltà di Legge dell'Università di Mosca, invece di preparare l'esame di Storia del PCUS lessi il romanzo su Michelangelo del ceco Karel Schultz, “La pietra e il dolore”, dove si possono leggere su Firenze parole molto significative: “Lui respirava la città dormiente, e insieme ad essa la primavera, una primavera fiorentina mille volte più bella di tutte le altre: quella primavera fiorentina, in cui c'è sempre la musica, c'è sempre qualcosa di profumato e metallico, in cui c'è sempre la magnificenza e il sangue, finche' da tutto ciò non appare la rosa fiorentina — dalla musica, dal metallo, dalla bellezza, dal sangue e dal profumo, la rosa silente che si nasconde nel crepuscolo e freme nel sonno azzurro della sera.”[1]
[1] Karel Schulz, La Pietra e il Dolore, vol. 1, ed. “Terra”, Mosca, 1997, pag. 5 (in traduzione russa).
Queste parole mozzavano il fiato, e i vocaboli “sangue” “metallo” risuonavano come metafore brillanti. Ma capì che avevano un significato letterale non appena misi piede a Firenze. Nel maggio 2002 il dottor Eugenio Giani, Assessore al Comune di Firenze, mi fece vedere il punto in cui i terroristi avevano lasciato la macchina piena di esplosivo. L'onda d'urto dell'esplosione era stata bloccata da una torre fiorentina del '700 che, frantumandosi, aveva salvato la Galleria degli Uffizi e la stragrande maggioranza dei suoi capolavori. Già ai tempi di Dante i severi costruttori fiorentini avevano provveduto alla solidità necessaria e avevano in tal modo protetto i loro lontani discendenti.
Le mani sporche della violenza tentano sempre di deturpare ciò' che e' bello. La violenza, comunque, ha fatto dei bei progressi da quando nel 1944 neppure le SS si decisero a far saltare il Ponte Vecchio, e sulla linea del fronte tedesco-americano, che passava proprio per la città, lungo l'Arno, non si sparava. Nel 2001, sei giorni dopo la barbara distruzione dell'orgoglio dell'architettura contemporanea di New York, abbiamo costituito a Mosca la “Società Fiorentina”. È interessante notare che qualcosa di simile fu creato a Mosca nella primavera del 1918, nel pieno della guerra e del terrore, sotto l'egida del più raffinato e appassionato conoscitore di Firenze, Pavel Pavlovic Muratov. Un'altro autorevole esperto di cultura fiorentina, Boris Zaitsev, scrisse di se' e di Muratov: “In quegli anni orribili ci vedevamo spesso, e cercavamo entrambi di evadere dal presente maledetto rifugiandoci in una letteratura che non aveva alcun legame con esso”. Ma non e' questo lo scopo della nostra Società Fiorentina. Quello che noi desideriamo è più che altro serrare le fila attorno a quanto di meglio l'epoca odierna abbia conservato. Va detto che tentativi di creare delle Società Fiorentine, e persino una Società Fiorentina Mondiale, ci sono sempre stati in tempi e paesi diversi. Un emigrato russo Alexandr Rognedov cercò di organizzare una società mondiale degli amici di Firenze sotto la presidenza di Berenson, il famoso storico dell'arte inglese, con la partecipazione di eminenti finanzieri e politici di vari paesi, ma l'idea non ebbe seguito. Da molto tempo ormai l'umanità considera Firenze come sua proprietà, e ciò contribuisce per molti versi a conferire alla città una vocazione internazionale. Cinque milioni di turisti passano ogni anno per le sue vie e i suoi musei e venticinque università americane hanno qui le loro scuole estive. Negli ultimi centocinquanta, duecento anni non sono stati i fiorentini purosangue gli abitanti più illustri della città, ma degli stranieri. La città, il cui centro storico è facilmente percorribile a piedi, accoglie un quinto dei capolavori universali di pittura, scultura ed architettura. Per osservare attentamente ognuno di questi capolavori ci vogliono alcuni anni. Tra i duecentomila abitanti di Firenze nella seconda metà dell '800, circa 30 mila (il 15%) erano inglesi o americani. Già allora si notavano comunità di polacchi, francesi, tedeschi e russi.
Negli anni '60 la città di larghe vedute diventa rifugio degli hippy, anche loro per lo più inglesi o americani. Negli anni che finiscono con due cifre uguali, ad intervalli di circa un secolo, nel 1333, nel 1466, nel 1557, nel 1844, a Firenze si sono verificate grosse inondazioni. La prossima è attesa per tradizione nel 2055 o nel 2077. Finora la più tremenda è stata l'inondazione del 1966. Fu allora che tanti volontari, ragazzi e ragazze con i capelli lunghi e i jeans strappati, quei “capelloni” che all'apparenza se ne fregavano di tutto, stettero per settimane immersi fino alla cintola nell'acqua fredda e nel fango nei sotterranei della Biblioteca nazionale e, passandoli di mano in mano, riuscirono a salvare settecentomila libri rarissimi. Di notte lavoravano a lume di candela. A loro si unirono molti stranieri, tra cui il pianista russo Svjatoslav Richter e il senatore americano Robert Kennedy. Andrej Voznesenskij ha scritto su questo evento un saggio dal titolo “Gli Angeli del Fango”.
Per noi Firenze non è una città straniera, è nostra, ci è familiare. Perchè Firenze, e non Parigi, Londra, Vienna, Berlino? — domanda un autore americano, David Leavitt. La risposta se la dà da solo: le persone vogliono soddisfare a Firenze la loro “idea di pienezza personale”. Se la mattina vi incamminate di buon'ora, poco dopo l'alba, partendo dal lungarno e passando dagli Uffizi, verso Piazza della Signoria, ancora vuota “vi fermerete sconvolti al centro dell'Universo”[2].
[2] David Leavitt, Florence, A Delicate Case, Bloomsbury, New York, 2002, pp. 5, 25.
La semplicità e la chiarezza dei capolavori che vi circondano, il fatto che siano concentrati in uno spazio molto ristretto creano una forza di attrazione straordinaria verso questo “centro del mondo” (chi viene a Firenze per la prima volta lo avverte in modo intuitivo). Ringraziamo Leavitt per queste parole brillanti, in confronto a cui altre sue affermazioni su ipotetiche libertà sessuali del passato appaiono ridicole. Persone normalissime possono cadere vittime a Firenze di un “tranello” psichico, chiamato dagli psichiatri locali “sindrome di Stendahl”. Il coraggioso giovane veterano delle campagne napoleoniche svenne nella Basilica di Santa Croce. L'abbondanza di capolavori e un irrefrenabile desiderio di vedere il più possibile in un giorno, in una settimana o un un mese portano spesso alla confusione mentale i turisti più ostinati.
Firenze e la Russia. Lo stemma dei Demidov sulla facciata della famosa cattedrale di Santa Maria del Fiore, il Duomo della città. Il rapporti tra Firenze e la Russia sono di lunga data ma nel secolo attuale assumono una connotazione particolare.
La Russia non è più quell'impero potente che è stata per trecento anni. L'economia e la politica da sole non possono cambiare niente, soprattutto se non sono accompagnate dai segni di una ripresa spirituale. Forse è proprio ora che dobbiamo renderci conto di come l'Italia, frazionata e quasi del tutto priva della potenza che fu una volta dell'Impero Romano, sia riuscita cinque, sei secoli fa a diventare un vulcano dalla straordinaria potenza spirituale. Questi esempi sono per noi, cittadini di un impero crollato, di gran lunga i più importanti. Dopo la caduta dell'utopia sovietica di triste memoria dovremmo capire come e perché l'utopia realizzatasi nella Firenze del '400 (per essere esatti, prima del 1492) rimane nei secoli quale esempio di un ordinamento costituzionale che ha portato a risultati altissimi, non solo nell'ambito nell'arte, ma anche in quello della politica, dell'industria, dell'attività bancaria.
Il pellegrinaggio a Firenze è un viaggio alle sorgenti di molti tra i migliori esempi dell'architettura russa, ed è il ritorno alla memoria di un sogno dell'umanità che si è avverato, di un'utopia realizzata. Il concetto di “utopia realizzata” non è accettato da tutti, quindi avremo bisogno di illustrarlo con esempi storici, collegati al famoso libro di Thomas More.
Perché Firenze è così vicina alla Russia, quale il motivo di questa incessante attrazione spirituale e fisica? Il fatto di rinvenire fenomeni uguali o simili in altri Paesi non può esserci d'aiuto. Forse da nessun'altra parte i fiorentini hanno costruito così tanto come in Russia: le cattedrali e le mura del Cremlino, poi i palazzi di San Pietroburgo, e molte altre cose in altre città.
Iosif Brodskij ha notato che nel 700 e nel primo '800 Pietroburgo è diventata una “vera e propria Mecca” per i migliori architetti e decoratori italiani. Sempre lui ha scritto che è italiana la definizione di Pietroburgo come “finestra sull Europa”[3].
[3] Iosif Brodskij, Menše edinižy, Mosca, 1999, pag. 73 (in russo).
Secondo lui, Pietro il Grande “si immaginava la città come il centro spirituale della nuova Russia, la fonte della ragione, delle scienze, dell'istruzione, della sapienza... Non c'è un altro posto in Russia dove la fantasia si distacchi così facilmente dalla realtà: la letteratura russa è sorta con la nascita di Pietriburgo... Si ha la strana sensazione che questa non sia la Russia tesa a raggiungere la civiltà europea, ma la proiezione di quest'ultima, ingrandita da una lanterna magica, su su uno schermo enorme di spazio e 'acqua... Non c'è da meravigliarsi che talvolta questa città dia l'impressione di essere un' egoista che si occupa esclusivamente del proprio aspetto. In questi posti si fa senz'altro più attenzione alle facciate che all'aspetto dei propri simili... La nascita di San Pietroburgo equivale alla scoperta del Nuovo Mondo: i russi pensanti dell'epoca hanno avuto l'opportunità di osservarsi dal di fuori... Un'architettura perfetta fino all'assurdo... Una città che è cominciata come un salto dalla storia verso il futuro... Qualsiasi critica all'umana esistenza implica che si conosca il punto supremo di riferimento, l'ordine migliore.
Così si è nata la storia dell'estetica russa, e i complessi architettonici di San Pietroburgo sono stati percepiti e si percepiscono tuttora come la massima incarnazione di quest'ordine (comprese le chiese). In ogni caso chi ha vissuto in questa città abbastanza lungo è incline a mettere in relazione la virtù con la proporzionalità. È una vecchia idea greca...”[4]
[4] Ibid., pag. 74, 77, 78, 79-80, 81, 82, 84.
Pietroburgo fu costruita fin dall'inizio come un'utopia realizzata, mentre Firenze si realizzò come utopia nel corso del XII-XV secolo. Ma entrambe le città (ognuna con i suoi tempi) sono diventate, come scriveva Belinskij su Pietroburgo, “una speranza nuova del vecchio paese” una speranza mai pienamente realizzatasi, ma mai dimenticata.
Poi Brodskij scrive del “carattere utopico della città” di Pietroburgo, la paragona a Firenze e pensa che qui l'utopia fondamentale consista nella speranza nel contenuto spirituale, letteralmente trattenuto dentro le mura e nei capolavori architettonici. A poco a poco essi rilasciano all'epoca contemporanea una parte del pensiero estetico fiorentino in essi concentrato, e in tal modo mantengono almeno un livello minimo di cultura e di spiritualità. “Le case sul lungofiume fanno pensare sempre di più a un treno fermo: direzione — l'eternità... Una persona nata in questa città fin da giovane si muove a piedi almeno quanto un buon beduino... poiché camminare sul lungofiume di granito marrone... è di per sé un'estensione della vita e una scuola di lungimiranza... Nella granulosità del lungofiume di granito... c'è qualcosa che impregna le suole di un sensuale desiderio di cammino”[5].
[5] Ibid., pag. 89, 90.
Le lunghe citazioni di Brodskij sono indispensabili in primo luogo perché possono e devono essere riferite anche a Firenze e inoltre perche' probabilmente costituiscono, all'interno della letteratura russa, la spiegazione migliore del rapporto che lega Firenze alla Russia.
È sorprendente che, scrivendo di San Pietroburgo, Brodskij riprenda lo stesso concetto già presente nella poesia “Dicembre a Firenze”, in cui delle case fiorentine dice che “i lungofiumi fanno pensare a un treno intorpidito”. È ancora più interessante il fatto che Brodskij (certo, involontariamente) abbia ripreso anche Osip Mandelstam, che aveva scritto del “granito granuloso” non si capisce se di Pietroburgo o di Firenze:
Dalle scale rafferme, dalle piazze
Con palazzi angolosi,
Il cerchio della sua Firenze
Cantava l'Alighieri più potentemente
Con le labbra spossate.Così quel granito granuloso
Rode con gli occhi la mia ombra
Vede di notte una fila di ceppi
Che di giorno sembravano case.
Un poeta dell'emigrazione russa, Kirill Pomerancev, che ha scritto “Al di là della finestra c'è il cielo fiorentino e sopra l'alba di Pietroburgo...” ha anche lui in parte ripetuto l'immagine di Mandel'štam:
Perso nel cielo — che fare?
Quello a cui lui è vicino, risponda!
..............................................................
Non si può separarmi dalla vita — lei sogna di
Uccidere e subito dopo accarezzare
Affinchè orecchie, occhi e occhiaie
Ferisca l'angoscia fiorentina.
Per Mandel'štam il viaggio a Firenze è un movimento dell'anima basato sulla percezione acuta delle opere fiorentine, soprattutto quelle di Mosca più che quelle di Pietroburgo.
Non tutti sanno che il Cremlino e tante sue cattedrali famose sono stati costruiti con la partecipazione di architetti fiorentini.
Non sarebbe un prodigio stupendo sognare un giardino,
Dove i colombi veleggiano nel blu caldo,
Dove una monaca canta i contorti segni ortodossi:
La dolce Assunzione, Firenze a Mosca.E le cattedrali di Mosca a cinque cupole
Con la loro anima italiana e russa,
Mi fanno pensare all'apparizione di Aurora,
Ma dal nome russo e con un pellicciotto.
Bisogna fare particolare attenzione al fatto che nelle loro ricerche architettoniche in Russia i fiorentini hanno cercato di ridurre le differenze tra gli edifici del culto cattolico italiano e quelli ortodossi. Brodskij si è espresso anche su questo: “Per quanto riguarda tutta la storia della contrapposizione tra l'ortodossia e tutto il resto del Cristianesimo, bisogna dire che non è mai andata troppo lontano, perché le cattedrali e le chiese sono state progettate dagli stessi architetti che hanno costruito i palazzi. Per cui è impossibile capire, prima di mettere piede sotto le volte o di guardare attentamente la forma della croce sulla cupola, a quale culto appartenga questa casa di preghiera...”[6]
[6] Ibid., pag. 83, 84.
Come città-repubblica del '400, Firenze ebbe una notevole influenza su Thomas More che, non essendo mai stato in Italia, ebbe di questa città una percezione ancora più idealizzata. Prima di presentare alcune prove relative al ruolo svolto da Firenze sulla creazione di “Utopia”, verranno riportati alcuni esempi di come l'idea presente nell'opera abbia trovato concreta applicazione in epoche successive all'uscita del libro.
E' consuetudine collocare tra le utopie dello Stato di diritto e costituzionale quelle descrizioni idealistiche del regime sociale perfetto (secondo l'idea dell autore), in cui si assicuri il sommo livello di felicità e di benessere ai cittadini. Così sono, per esempio, la “Repubblica” di Platone, “La Città del Sole” di Campanella, “Utopia” di Thomas More, ecc.
Alla teoria, però, spesso sfugge che la storia dell'umanità conosce esempi di utopie realizzate, tra cui la Firenze del '400, quando le idee utopistiche costituzionali portarono alla creazione e talvolta al buon funzionamento, per un certo periodo di tempo, di sistemi statali reali, che da tali idee traevano fondamento.
Tuttavia in Italia, e soprattutto a Firenze, Thomas More e la sua “Utopia” suscitarono un particolare interesse. Dopo la prima edizione del 1517, nel 1519 il libro fu ristampato a Firenze in latino e diffuso in tutta l'Italia. In italiano “Utopia” fu pubblicato a Venezia, nel 1548, dal fiorentino A. Doni. Il titolo del libro in italiano non era “Utopia” ma “Eutopia” che significa “paese felice” e rispecchia così il senso diretto di questa parola in greco antico. Il primo libro su Thomas More uscì invece Firenze nel 1556 in italiano e fu scritto dal nipote di More, l'inglese A. Haywood, che in precedenza aveva lasciato l'Inghilterra per entrare nell'ordine dei gesuiti.
Il nesso causale e la correlazione tra le idee utopistiche realizzate e quelle presenti solo sui libri sono di estrema importanza per la comprensione dell'utopia come importantissimo movimento del pensiero costituzionale e politico-sociale degli ultimi tre millenni. Tra le due varianti, ugualmente valide, della traduzione dal greco antico del sostantivo “utopia'solo quella di “paese beato” è appropriata. La seconda variante, “luogo che non c'è”, contrasta con la storia dell'utopia, che ha conosciuto una serie di utopie storiche realizzate.
Il fiorentino F. Sansovino pubblicò nel 1561 un libro che intendeva divulgare le idee di “Utopia”, e di cui si fecero cinque edizioni[7].
[7] V.L.S. Cicolini, L' “Utopia” di Thomas Moore in Italia, pag. 206, 211-212, 221, 226.
Grazie alla fortunata iniziativa dei fiorentini menzionati, nell'Italia del '500 e del'600 la presenza di “Utopia” nelle biblioteche diventò di moda. Ci siamo soffermati a lungo sullo sviluppo delle idee dell'opera “Utopia” per poter poi, con maggior sicurezza, tornare alle sue radici fiorentine.
Thomas More era il membro più giovane del circolo dei neoplatonici di Londra, sorti a imitazione dell'Accademia neoplatonica di Firenze, e tradusse la biografia di Pico della Mirandola, che dell'Accademia fiorentina fu un membro attivo. Secondo il nipote di Thomas More, la figura di Pico della Mirandola lo colpì e divenne un modello per lui. More scrisse saggi in difesa delle idee di Platone sullo Stato ideale, poi concretizzatesi a Firenze. Una particolare influenza sullo sviluppo di More fu esercitata da John Kolett, che aveva fatto un viaggio a Firenze e aveva incontrato i membri dell'Accademia Fiorentina. I suoi racconti su Firenze svolsero un ruolo decisivo sulla creazione di “Utopia”. Anche se questi meriti vengono per lo più attribuiti ad Erasmo da Rotterdam, non si può tuttavia non essere d'accordo con il biografo di Thomas More, secondo cui “Kolett si avvicinò molto di più di Erasmo al neoplatonismo fiorentino”[8].
[8] Peter Ackroyd, The Life of Thomas More, New York, 1999, p. 85.
È in una lettera a Kolett che il giovane More scrisse di come gli fosse difficile vivere a Londra tra falsi amici e nemici, in mezzo ad alte case che coprono il cielo[9].
[9] Ibid., p. 110-111.
Non è un caso che gran parte dell' “Utopia” sia stata scritta da More mentre si trovava nella patria del primo Rinascimento fiammingo, a Bruges, che per la combinazione di tratti fiamminghi e italiani viene spesso chiamata “la Firenze del Nord”.
Non accade spesso che opere sulla politica e sul diritto costituzionale vengano paragonate ad opere artistiche. Ciononostante nel 1643 il francese S. Sorbier scrisse sull' “Utopia”: “L'opera di More fa pensare ai capolavori di pittura...”[10]
[10] S.G. Kucherenko, Mor i Franzia, p. 249 (in russo).
Lo asseconda un nostro famoso studioso, V.I. Rutenburg, quando scrive che le opere di Machiavelli “presentano un'affinità” con il “Giudizio Universale” di Michelangelo”[11].
[11] V.I. Rutenburg, Zhizn i tvorchestvo Makkiavelli // Nel libro: N. Makkiavelli, Istoria Florenzii, “Nauka”, Leningrado, 1987, pag. 360 (in russo).
Nella sua Lezione per il conferimento del Premio Nobel nel 1987 il poeta Iosif Brodskij parlò di ”estetica dello Stato”. Il filosofo A.F.Losev ha scritto che il Rinascimento e' l’epoca dell’ “esaltazione titanica dell’uomo all’interno di un’esistenza intesa in modo prevalentemente estetico… Quindi, quando Leonardo afferma che solo la pittura è la filosofia e la saggezza, in lui non parla solo la passione capricciosa del pittore, ma si dà voce a una scienza del tutto esatta”[01]. Losev dice giustamente che in quei tempi “accadde qualcosa di favoloso”. L’idea estetica fondamentale di qualsiasi regime costituzionale, e cioè assicurare ai cittadini una vita felice all’interno di una fioritura delle arti, si concretò per alcuni decenni nella Repubblica fiorentina del ‘400. “Il neoplatonismo fiorentino è meno che mai una teoria… Il neoplatonismo fiorentino è prima di tutto una vita di un certo tipo, una particolare fratellanza tra uomini che avevano tutto in comune, comprese le piccole cose, comprese tutte le occupazioni e decisamente tutto l’ambiente di vita… Questo neoplatonismo, con tutte le sue valenze religiose, mitologiche, simboliche e persino mistiche, fu vissuto a Firenze con grande facilità e disinvoltura, e per lo più in modo festoso e solenne. Il neoplatonismo fiorentino fu qualcosa di straordinariamente umano, caratterizzato dalla cordialità e dall’intimità, e per queste sue caratteristiche giustificò e motivò rapporti umani leggeri, per la maggior parte lirici, ma mai sdolcinati, di profonda amicizia e, si potrebbe dire, quasi romantici. Ecco perché e' stato Rinascimento nel senso autentico della parola”[02].
E adesso diamo la parola a Marcello Ficino, vissuto nello stesso secolo: “Se parliamo di un’età dell’oro, abbiamo in mente, senza dubbio, un’età che produce intelletti d’oro. E tale è il nostro secolo e nessuno, esaminando le sue meravigliose invenzioni, può avere dubbi. I nostri tempi, la nostra età dell’oro, hanno portato alla fioritura delle arti liberali, che erano quasi morte: la grammatica, la poesia, la retorica, la pittura, l’architettura e l’antico canto della lira di Orfeo. E tutto questo a Firenze”[03].
Gli artigiani, i mercanti e i banchieri di Firenze riuscirono a creare e a mantenere un equilibrio di poteri che, nonostante tutte le insufficienze di quei tempi, causate dalle superstizioni, dal possesso generalizzato delle armi e dalla corruzione, a noi ben nota, ha assicurato il primato di questa piccola città in tutta la storia europea del nostro tempo. Giorgio Vasari, il famoso storico e pittore della metà del ‘500, scrisse: “Le arti hanno sempre prosperato Firenze, a tal punto che, e si può dirlo senza offesa per altre città, ritengo sia stata proprio Firenze il rifugio e il nido più importante per le arti, come Atene lo è stata un tempo per le scienze”.
Bisogna prestare una particolare attenzione al ruolo e al significato che ha avuto per Firenze la famiglia Medici. Sono trascorsi sei secoli da quando il banchiere Giovanni Medici ricoprì per la prima volta, solo per due mesi secondo la tradizione fiorentina, una carica statale. E’ l’antenato diretto della famiglia di cui fecero parte Cosimo il Vecchio e suo nipote Lorenzo il Magnifico. Non va dimenticata l’ultima discendente Maria Luisa che, non avendo figli, dono' allo Stato Toscano tutto il patrimonio di famiglia, comprendente palazzi, ville e soprattutto numerosissime opere d’arte.
Durante il mio intervento davanti agli studenti di legge dell’Università di Firenze, ho detto, e non per scherzo, che Firenze deve ai suoi legali tanto quanto deve ai pittori, gli architetti e gli scultori. Se il testamento di Maria Luisa non fosse stato redatto a regola d’arte, la maggior parte dei capolavori sarebbe ora sparsa per tutto il mondo, e non sarebbe stato possibile, valendosi di quel testamento, recuperare le opere trafugate da Napoleone e da Hitler. L’errore contenuto nel testamento e relativo alle miniature conferma quanto ho detto. Il fatto che la maggior parte di esse non si trovi più a Firenze ci fa capire che cosa sarebbe potuto accadere al resto del patrimonio.Sul piano giuridico si tratta di un ottimo esempio per gli studenti di legge.
La figura principale di questo processo, ancora sottovalutata, soprattutto in Russia, è Cosimo il Vecchio (da non confondere con i successivi Cosimo Medici, Duchi di Toscana tra il ‘500 e il ‘700), che per la prima volta nella storia affermò la supremazia dei partiti, anziché dei tiranni. Il fatto è che la famiglia Medici, già dalla fine del ‘300, si mise al capo del partito popolare, e appoggiò il famoso “tumulto dei ciompi”, cioè dei lavoratori esclusi dalle corporazioni degli artigiani. Successivamente Giovanni Medici introdusse, e Cosimo Medici approvo', per la prima volta nella storia, il sistema della tassazione progressiva, esteso a tutti senza eccezioni. Il banchiere Cosimo Medici intraprese uno sforzo titanico per tentare di unificare le due chiese cristiane e salvare così Bisanzio. Per due anni la Repubblica Fiorentina e Cosimo il Vecchio in persona finanziarono e appoggiarono in tutti i modi l’organizzazione del Concilio di Firenze (1439-41), che fu contraddistinto da intense ed ampie trattative tra la chiesa cattolica e quella ortodossa in materia di unificazione, intesa come condizione di un consistente aiuto militare dell’Occidente a Bisanzio nella lotta contro i turchi. Il risultato fu che, durante quelle trattative e subito dopo la sanguinosa fine di Bisanzio, Firenze si riempì di studiosi eccezionali, filosofi e teologi, nonché di manoscritti di Platone, fino ad allora conservati a Bisanzio, contenenti il suo sogno di un regime costituzionale repubblicano ideale e il suo punto di vista nuovo sull’arte greca antica, conosciuta in Italia soprattutto per il tramite delle copie romane. In un certo senso l’antica Roma e poi Bisanzio furono le custodi passive delle idee e delle tradizioni dell’antica Grecia, compresa la loro prima simbiosi con le idee bibliche (per esempio, ad Alessandria all’inizio del primo millenio). Quindi Firenze diventò nel ‘400 un canale attraverso il quale l’immensa ricchezza culturale delle idee antiche fluì nel mare cristiano, trasformandolo in quell’oceano, che noi adesso chiamiamo la “civiltà occidentale”, alla cui fioritura contribuirono non poco le idee e gli sforzi del fiorentino Cosimo il Vecchio.
L’unificazione dell’Oriente cristiano con l’Occidente cristiano non avvenne, ma la grandiosità del disegno utopico di Cosimo rimane un esempio per i politici europei. E’ evidentemente che una buona dose di utopia è necessaria ad ogni buon politico.
Al Concilio di Firenze partecipò anche la delegazione russa, che esportò in Russia la ricetta della vodka, basata sulla ricetta della bevanda scandinava “akvavit”, offerta da fiorentini agli ospiti[04].
Un membro anonimo della delegazione russa ha lasciato la prima descrizione della città(1439): “La gloriosa città di Firenze è molto grande e quello che vi si trova non l’abbiamo mai visto nelle città descritte in precedenza: i templi sono molto belli e grandi e gli edifici sono costruiti in pietra bianca, molto alti e decorati con arte”.
È interessante l’esempio di Massimo il Greco, che studiò e crebbe a Firenze e diventò un frate cattolico domenicano. Però sotto l’influenza delle idee dell’Accademia Platonica dei tempi di Lorenzo il Magnifico, nipote di Cosimo, passò alla fede ortodossa e nel 1517 fu invitato da Vassilij III a Mosca per tradurre testi religiosi in lingua russa. Nel 1525 fu arrestato e torturato, ma nei trent’anni che seguirono visse in uno stato di “mite reclusione” e fu considerato uno dei maggiori saggi della Russia.In seguito fu consultato persino da Ivan il Terribile[05].
Il Rinascimento italiano si è trovato vicino alla Russia e ha influito su di essa, benché non ne abbia oltrepassato i confini. Lo scrittore Vasilij Aksionov ha notato giustamente che che la parola “Rinascimento” in Russia viene usata in modo scorretto, nel senso della rinascita di qualcosa che è già nato chissà quando, e poi per qualche motivo è appassito per cinquecento o mille anni. “In questa ottica, quando si parla della rinascita della filosofia russa all’inizio del XX secolo, si potrebbe pensare che in Russia abbiano un tempo operato Aristotele e Platone. Parlando del rinascimento si deve evidentemente pensare a un grande slancio creativo proprio di una nazione, di un gruppo di nazioni o di tutta una civiltà”[06].
Nell’autunno del 1995, nel tentativo di riposarmi un po’ e di evitare le orde di turisti giapponesi, intenti a guardare gli oggetti esposti al museo attraverso gli obiettivi fotografici e a far scattare decine di flash quasi contemporaneamente, trovai riparo in una stanza vuota di Palazzo Vecchio, scarsamente frequentata. In questa stanza, che fu lo studio del Secondo Segretario della Repubblica Fiorentina Niccolò Machiavelli (1498-1512), c’è il suo ritratto e un busto di terracotta.Non avrei potuto trovare occasione migliore per riflettere sui veri motivi dell’ immortalità di quest’uomo. Machiavelli ha scritto solo pochi libri, opere teatrali e poesie, ma è conosciuto praticamente da tutti. È lo statista più famoso al mondo, ed è il fondatore della scienza politica moderna. E’noto soprattutto per le sue idee sulla natura dello Stato e sul giusto ordine dell’organizzazione dell’assetto costituzionale.
Il filosofo inglese Isaia Berlin colloca le opere di Machiavelli tra gli enigmi del pensiero umano, al pari delle opere di Platone, Rousseau, Hegel e Marx. Per l’influenza esercitata sull’umanità il filosofo paragona il “Principe” alla descrizione, riportata dalla Bibbia, dei precetti dettati dal giudice e profeta Samuele al primo re biblico Saul[07]. E questi precetti di Samuele sono alla base della prima costituzione di cui si abbia notizia[08]. Ebbi occasione di riprendere le riflessioni a cui mi ero abbandonato nello studio di Machiavelli alcune settimane dopo, quando la signora E.Ju.Genieva, direttrice generale della VGBIL[09], mi chiese inaspettatamente, a titolo di consiglio, di indicarle a quale illustre personaggio italiano si sarebbe potuto erigere un monumento nel cortile interno della Biblioteca Statale Panrussa di Letterature Straniere a Mosca. Proposi subito Machiavelli, motivando questa scelta con il fatto che per la Russia della metà degli anni ‘90 erano molto importanti le idee di questo classico del Rinascimento. Mi hanno creduto, e il busto di bronzo collocato l’11 giugno 1996, opera dello scultore italiano Gianpietro Cudin, secondo me è anche migliore di quello di Palazzo Vecchio a Firenze. E le idee di Machiavelli in questi pochi anni sono diventate ancora più attuali per la Russia del XXI secolo e del 3o millennio.
Nel 1252 l’influenza fiorentina sull’economia europea (vista l’epoca, si potrebbe dire sull’economia mondiale) fu accentuata dall’emissione della propria moneta, il fiorino. Tenendo conto delle condizioni del “mercato monetario”, per decenni questa è stata la moneta più usata sia nel commercio europeo che in alcuni paesi del Nord Africa. Non è stata casuale la proposta di chiamare la nuova valuta europea “fiorino”, anziché “euro”.
Alla base dello sviluppo del sistema statale autonomo nella Firenze del XII secolo c’è un’ amministrazione indipendente della giustizia separata dal potere aristocratico. La marchesa Matilde di Toscana, che acquisì Firenze agli inizi del 1100, era spesso assente e non poteva provvedere personalmente all'amministrazione della giustizia. La giustizia indipendente fu alla base del sistema statale fiorentino divenuto poi famoso.
Gli ordinamenti approvati successivamente, soprattutto gli Ordinamenti di Giustizia di Giano della Bella del 1293, introdussero il divieto per le famiglie magnatizie ( molte delle quali di origine tedesca) di ricoprire cariche pubbliche.
“Il principio cosituzionale della supremazia dei mercanti e dei banchieri fiorentini”, sul quale ha scritto uno storico italiano contemporaneo Massimo Winspeare[10], consisteva, da un lato, nel restringere il vertice della piramide al potere e dall'altro, nell’allargarne la base, che comprendeva in pratica tutti i liberi professionisti. Le sette Arti maggiori erano quelle dei giudici e notai; dei mercanti che si occupavano della lavorazione e della tintura delle stoffe provenienti dall’estero; dei cambiavaluta, che poi diventarono banchieri; dei mercanti che vendevano la lana; dei mercanti che vendevano la seta; medici e farmacisti; lavoratori e rivenditori di pellicce. Le quattordici Arti Minori furono composte da fabbricanti di scarpe, fabbri, falegnami e muratori, venditori di lino e stracci; fabbricanti di chiavi e di ferri da stiro; venditori d’olio; venditori di formaggi e salumi; venditori di corde; venditori di vino; venditori e produttori d'armi; venditori di cuoio e produttori di sandali; proprietari di alberghi; venditori di tavole; fornai. La compresenza di rappresentanti del lavoro intellettuale e del lavoro manuale dava al governo della città una particolare stabilità quando si trattava di affrontare le questioni politiche più insidiose. La mentalità corporativa e professionale cercava intensamente le vie migliori per lo sviluppo economico della città che, a differenza di Genova e Venezia, era situata lontano dal mare, e non era neppure al sicuro sui monti, come Siena. Le vie commerciali verso il mare potevano essere tagliate, e la città distesa nella valle sembrava facilmente accessibile al nemico.
La scelta dei fiorentini a favore di un esercito mercenario anticipò di molto il concetto moderno della rinuncia alla leva forzata. Le conseguenze furono che, in primo luogo, la città posta al centro d’Italia, all’incrocio di tutte le possibili vie belliche, per secoli non fu mai conquistata da truppe nemiche, anche se due o tre volte armate alleate entrarono in città previo accordo. In secondo luogo, i fiorentini risparmiarono alla loro giovane generazione spargimenti di sangue e crearono invece delle condizioni in cui un qualsiasi talento professionale, soprattutto artistico, aveva la possibilità di svilupparsi al massimo. In terzo luogo, non avendo militari tra i propri cittadini, e di conseguenza tra gli elettori, i fiorentini esclusero la possibilità sia di colpi di stato militari, sia di pretese da parte di capi militari di esercitare un’ influenza politica eccessiva. I fiorentini non sviluppavano le loro doti militari, il che non impediva loro di essere una forza temibile sia nei combattimenti, sia negli scontri sulle piazze e sulle vie. Quando, durante la congiura dei Pazzi, i migliori soldati papali cercarono di assalire il Palazzo della Signoria, gli impiegati praticamente disarmati presero in mano armi di fortuna al posto delle penne d’oca e respinsero l’attacco.
La scelta del podestà, cioè del giudice cittadino, tra autorevoli giuristi forestieri ebbe in quei secoli un ruolo importante nella costituzione della giustizia indipendente. Per il podestà fu costruito nel 1255 l’imponente Palazzo del Podestà, ma per evitare qualsiasi ingerimento esterno gli fu proibito persino di cenare fuori dal palazzo, e gli incontri con i cittadini furono ridotti al minimo.
Va notato che il governo della della Signoria acquisì a Firenze tutt’altro significato rispetto alle altre città-stato italiane, dove fu sinonimo di dominio del Signore e della sua famiglia. A Firenze invece la Signoria fu sempre una forma di gestione democratica collettiva, dal momento che tutti gli iscritti a un’Arte che avessero compiuto trent’anni potevano diventare membri della Signoria per un periodo prima di due, poi di sei mesi. In situazioni straordinarie in Piazza della Signoria veniva chiamata tutta la popolazione maschile dai quattordici anni in su per eleggere la Balìa, che godeva di poteri straordinari soprattutto in caso di guerre.
Abbinare il concetto di Stato moderno con l’ordinamento delle città-repubbliche antiche e rinascimentali non è un qualcosa privo di contenuto politico e costituzionale e di significato per il nostro XXI secolo. A prima vista le dimensioni degli Stati moderni, che hanno molti milioni di abitanti, escludono l’applicazione dei princìpi di democrazia diretta, possibili nelle assemblee popolari di poche migliaia persone nella antiche Atene o Roma, o nella Firenze del ‘400. Al tempo stesso la teoria delle “rivoluzioni costituzionali”, sorta alla fine del ‘900, prevede che il contratto costituzionale viene concluso con tutti cittadini, e le successive modifiche costituzionali possono essere apportate solo previo consenso generale. Questa teoria non sembra assurda per una serie di motivi. In primo luogo, all’autore di questa teoria, il professore universitario James Bukenen (Virginia, Università George Mason) è stato conferito nel 1986 il Premio Nobel. In secondo luogo, soffermiamoci su quei momenti che confermano la somiglianza dei nuovi fenomeni moderni con la prassi delle votazioni nelle piccole città-comuni del passato. Le ultime elezioni negli USA sono state decise dal secondo scrutinio dei voti nei piccoli distretti elettorali della Florida, dove la differenza ammontava a centinaia o decine dei voti, come nell’antica Atene o nell’ antica Roma.
Le crescenti possibilità tecnologiche di Internet renderanno possibile nei prossimi decenni la votazione simultanea dei cittadini di stati di qualsiasi dimensione, per qualsiasi questione di importanza statale, mediante scrutinio istantaneo e il calcolo preciso dei voti. In tal modo, l’espressione immediata della volontà della popolazione di un grande stato, considerata fantascienza nel ‘900, può transformarsi in realtà nel XXI secolo. E’ proprio adesso il momento di imparare, con l’ausilio dei “Discorsi”di Machiavelli, la prassi politica delle democrazie dirette dell’antichità e del Rinascimento. Scrive giustamente Harvey Mansfeld nel suo libro “Le virtù di Machiavelli”che la saggezza di Machiavelli può essere trovata in tutto quanto ci circonda oggi[11]. La nuova vita nella nuova traduzione dell’opera più importante del grande fiorentino coincide con il periodo in cui è soprattutto alla sua saggezza che deve guardare la Russia.
Osserva acutamente David Leavitt che uno straniero va a Firenze “non solo per guardare, ma per acquisire uno spessore maggiore”[12]. È uno dei tentativi riusciti di avvicinarsi alla soluzione del mistero fiorentino.
Una delle componenti di questa aspirazione alla “pienezza personale”, ovvero della “volontà di acquisire uno spessore maggiore”, è il desiderio di partecipare attivamente alla scoperta dei capolavori fiorentini, desiderio che prende tante persone agli Uffizi, a Pitti e nelle Cappelle Medici, ma che difficilmente scaturisce davanti ai quadri fiorentini nei musei di Londra, Parigi e New-York. Forse perché là i quadri ci sono stati portati e sono privi del loro contesto, mentre a Firenze i quadri appartengono al luogo e sono in sintonia con le pareti e con la vista che si gode dalle finestre dei musei. Tra l’altro, nonostante i considerevoli sforzi del Vasari, sono ben poche o punte le notizie relative alla vita dei pittori e degli scultori e a quello che pensavano delle loro opere. Diventa dunque possibile un’interpretazione personale, e ciò accade quando, a detta di Erenburg, i quadri ci aprono gli occhi e poi sono loro a svelarsi a causa del fervore dei nostri occhi. Tanto più che i fiorentini del‘400 e del‘500 non conoscevano la critica artistica, ma anche se l’avessero conosciuta avrebbero ugualmente creato non per i critici d’arte, ma per ciascuno di noi.
Nelle sue note Maksim Gorkij dice che a Firenze, agli Uffizi, quasi ogni giorno scopriva qualcosa, ad esempio, chi fossero i veri autori di certi quadri, a chi assomigliasse un autoritratto. Dopo aver cambiato idea, nel giro di due giorni, sull’attribuzione dell’ “Adorazione dei Magi” a Botticelli ed essersi formato un’opinione del tutto imprevista, Gorkij scrive: “Per voi sono ridicole le mie indagini e tutto il mio sconcerto? Ci rido sopra anch’io ma, vedete, questa città pian piano mi sta facendo impazzire: c’è tanta bellezza qui, tante cose che toccano il cuore… Tutte queste cose antiche, meravigliosamente semplici e particolari, tutte queste cose ti fanno tremare il cuore”[13].
Michelangelo fu educato nella casa di Lorenzo il Magnifico e lo adorava. Ne conosceva anche la grande, mai cancellata nostalgia per il fratello Giuliano, ucciso a coltellate in Duomo all’epoca della congiura ordita dai Pazzi e da papa Sisto IV. Da quel giorno il carattere allegro di Lorenzo e il suo modo di governare aperto e democratico mutarono. Lorenzo il Magnifico e suo fratello Giuliano erano gli eroi di Michelangelo, il che non vale per i Medici successivi. “Se Firenze accettò per tre generazioni la supremazia medicea, divenuta ereditaria per via delle circostanze, era solo perché i Medici ispiravano rispetto per le loro virtù e i loro meriti. Erano forti perché il loro dominio non era legato a nessun titolo particolare e quindi nessuno poteva né metterlo in dubbio, né abolirlo. Erano considerati i primi cittadini di Firenze, perché tutti li riconoscevano come tali e permettevano che lo fossero”[14].
Subito dopo la morte di Lorenzo suo figlio, che non brillava per nessun talento, fu esiliato da Firenze, dopodichè i Medici ritornarono più volte al potere, per lo più con l’aiuto di eserciti stranieri. Nel 1520 su ordine di Giulio Medici, divenuto poi papa con il nome di Clemente VII, Michelangelo comincia il lavoro sulla cappella funebre dei Medici presso la Basilica di San Lorenzo. Secondo il progetto di Clemente VII dovevano trovarvi collocazione le tombe di Lorenzo il Magnifico e di suo fratello Giuliano e di due discendenti più recenti della famiglia, Lorenzo duca d’Urbino e Giuliano duca di Nemours, nonché dello stesso papa Clemente VII. Michelangelo crea le sue migliori opere di scultura, i monumenti a Lorenzo e a Giuliano(rispettivamente nipote e figlio di Lorenzo il Magnifico) e la Madonna col Bambino, elabora la soluzione architettonica del sepolcro, in cui non c’è più spazio per altri monumenti, e interrompe per sempre il lavoro. Per di più partecipa all’insurrezione contro i Medici e per due anni dirige a Firenze i lavori di fortificazione contro l’esercito mediceo.
Uno dei migliori conoscitori delle opere di Michelangelo, il francese Marcel Brion, dice: “Perché Michelangelo cominciò dai monumenti funebri ai due duchi, persone abbastanza insignificanti, anziché iniziare subito dal monumento a Lorenzo il Magnifico, che era stato suo amico e protettore, e meritava sotto tutti gli aspetti di essere glorificato dal genio dello scultore? Ognuno se lo spieghi a modo suo”[15].
Io sono convinto che nelle sculture funebri la mente e le mani del grande Michelangelo abbiano immortalato la memoria del grande Lorenzo il Magnifico e di suo fratello Giuliano. Michelangelo rinunciò volutamente alla somiglianza nell’eseguire le sculture, proprio perché lavorava per immortalare la memoria di Lorenzo il Magnifico e di suo fratello, e non dei loro deboli discendenti.
L’ultima volta che sono stato nella sagrestia Nuova di San Lorenzo, il 24 ottobre 2002, la mattina presto, ero solo e guardando attentamente attraverso i riflessi del marmo bianco i volti delle sculture dell’Aurora e della Notte, mi sono convinto di quanto siano giuste le parole di Muratov, secondo cui “nella Sagresta Nuova di San Lorenzo, dinnanzi alle tombe di Michelangelo, si può avvertire il tocco più puro e ardente dell’arte, che mai uomo abbia provato”. Inoltre mi sono formato la convinzione che nelle statue dell’Aurora e della Notte sia raffigurata la stessa donna, solo che una ha 20-25 anni e l’altra invece ne ha 35-40. Sempre lì ho cominciato a scrivere, sul retro di un fax ricvuto da Mosca, le righe che seguono:
Nella cappella dei Medici
Voi, che portate le catene della bellezza
E il peso della somiglianza,
Addormentate per sempre,
In voi, solo in voi si è incarnato il tempo –
Il limite di quello, che può fare un uomo.
Il languore del Mattino, il puro desiderio.
Svegliati e desidera tutto ciò che hai dintorno,
Prendi tutto ciò, che è bello nell’universo,
Apri il bel giro magico della giornata.
Ma le picche hanno acuito l’aspetto della Piazza,
E la beltà non salverà l’umanità,
Hanno già affilato i pugnali i Pazzi,
E la campana chiama al mattutino.
Risuona il Duomo, impallidisce il cardinale
Il segnale per la preghiera è il segnale per la strage.
Lultimo momento si agghiaccia:
È il confine della vita, dei tempi, degli inizi,
I quali non potranno mai terminarsi…
E il Mattino quasi si sveglia,
Con i presentimenti e con le passioni. Lei sogna ancora
E sente un vago: “perdona”.
Nella folla camminano quatti quatti i legati del Papa.
È l’ultimo dolce istante di Firenze,
Il castigo per lo splendore e per la brillantezza.
Un colpo e un grido. Ancora un colpo e un grido.
Un colpo e un grido. È caduto Giuliano.
Il sangue nella Signoria, il sangue sull’altare.
E per svegliarsi è troppo tardi o troppo presto.
Dormi fino alla fine, adesso ama nel sonno.
Dal Mattino tu diventerai in un istante la Notte,
Non ti svegliare, non sei più come una volta,
Hai visto l’assassinio nel tempio con gli occhi tuoi,
L’ira di Lorenzo, la disperazione di Cristo.
Quando si parla della sagrestia Nuova di San Lorenzo va detto subito che neppure le foto più riuscite possono sostituire una visita. Questo vale non solo per l’aura e per l’atmosfera generale della cappella, ma anche per ogni singola statua. Appare evidente che le tre figure femminili, l’Aurora, la Notte e la Madonna sono le statue dominanti e creano nella cappella un triangolo magico, in cui il cuore si sente mancare e il respiro diventa affannoso.
Ho avuto la fortuna di visitare la cappella molte decine di volte negli ultimi dodici anni e complessivamente vi ho trascorso non meno di ventiquattro ore, di cui alcune in perfetta solitudine, senza neppure un turista.
E’molto difficile descrivere la magia, l’incanto, le sensazioni straordinarie. Alla somiglianza tra l’Aurora e la Notte si è aggiunta, nella mia percezione, la somiglianza di entrambe, in particolare dell’Aurora, con l’immagine della Madonna.
Alcuni artisti di mia conoscenza sono stati, su mia richiesta, nella cappella e hanno confermato questa somiglianza. Un’opera d’arte deve essere osservata attentamente. Il suo significato può essere svelato dal fervore dei nostri occhi. Il significato o i significati originari sono quelli che lo scultore stesso ha dato coscientemente alla sua opera, ma può aver aggiunto altri contenuti in modo inconsapevole. La soluzione dell’enigma può essere unica o ve ne possono essere molteplici. Alla metà del ‘900 ha preso campo nella critica d’arte la scuola dell’ “osservazione fissa”, secondo cui le conclusioni più azzeccate sono quelle basate sull’osservazione diretta dell’opera d’arte, senza il paraocchi delle opinioni comunemente accettate, ad esempio sullo stile, ecc.
Dalla somiglianza delle figure femminili scaturisce una prima teoria che si basa sull’idea, alquanto audace, che nella statua dell’Aurora, sulla quale, quando c’è una bella alba, cadono direttamente i raggi del sole, Michelangelo abbia rappresentato la scena dell’immacolata concezione. In effetti il volto dell’Aurora non raffigura necessariamente un risveglio pesante (come quando si nasce o si riemerge dal sonno notturno), al contrario evoca il languore sensuale del desiderio appagato che non può essere confuso con nient’altro. Una simile lettura della statua ha dei fondamenti evidenti. In un recentissimo studio britannico sulla statua dell’ “Aurora” si legge: “L’Aurora si offre per la prima volta. O si sta svegliando o si trova in uno stato di inebriamento emotivo”[16].
Nell’ambito di questa teoria la statua della Notte è l’immagine della Vergine, straziata dalle sofferenze della Crocifissione e sprofondata in un sonno pesante, ma ora tranquillo, dopo l’Ascensione di Cristo in cielo.
E’ risaputo che quando parecchi anni dopo il Vasari in una lettera chiese a Michelangelo quale intento lo avesse guidato nel suo lavoro alla sagrestia Nuova, lo scultore, ormai anziano, gli rispose che non se lo ricordava. Ma contemporaneamente Michelangelo tracciò a memoria lo schizzo del proprio progetto per la scala della Biblioteca Laurenziana. Quest’ultimo fatto mette in dubbio la veridicità dell’affermazione di Michelangelo a proposito della sagrestia Nuova. Che cosa ha voluto nascondere Michelangelo?
Ma la teoria per cui ci troviamo di fronte a una rappresentazione della Vergine nuda e alla scena dell’immacolata concezione ci sembra troppo audace. Inoltre non trova un riscontro scientifico diretto negli studi a tutt’oggi noti.
Per questo vorrei esporre una teoria apparsa più tardi ma che ha dei seri, anche se indiretti, fondamenti scientifici.
Il mio scultore preferito è Michelangelo, il mio pittore preferito è Botticelli. Nella sala delle opere di quest’ultimo agli Uffizi non mi pare sia difficile notare, dal momento che i quadri sono collocati l’uno accanto all’altro, che la testa della Venere nel dipinto “ La nascita di Venere” viene utilizzata da Botticelli almeno per altre due Madonne. Mi pare non sia difficile notare che la figura nuda del quadro “La Calunnia” (l’ultima nell’opera di Botticelli) ricorda la Venere, un pò deformata e un pò invecchiata, della “Nascita di Venere”. Io questo l’ho notato, ma ne ho compreso il significato solo dopo aver letto il libro del famoso storico dell’arte inglese Kenneth Clark, direttore della London National Gallery. Per la prima volta nella storia della pittura cristiana Botticelli riutilizza la testa di un nudo in un altro quadro per creare l’immagine della Madonna.
Scrive Kenneth Clark: “Botticelli ha riutilizzato la stessa testa per le sue Madonne. Questa circostanza, che all’inizio è persino un po’ scioccante, a pensarci bene è, in effetti, l’espressione più alta dell’intelletto umano, splendente nell’atmosfera pura dell’immaginazione. Il fatto che la testa della nostra dea cristiana, con tutta la sua delicata capacità di capire e con una finissima vita interiore, possa essere collocata su un corpo nudo e ciò non crei alcuna stonatura costituisce il trionfo più alto della Venere Celeste”[17].
Ma la stessa cosa può e deve essere detta delle statue dell’Aurora e della Madonna nella sagrestia Nuova di San Lorenzo.
Ma lasciamo per un attimo questa idea e torniamo a parlare della “Notte”, anche per riprendere il confronto con Botticelli. L’ultima nudo femminile presente nell’opera di Botticelli è una figura convenzionalmente chiamata “La Verità” nel dipinto “La Calunnia”. Kenneth Clark dà particolare risalto alla somiglianza tra Venere e la Verità della “Calunnia” e scrive:
“A prima vista ricorda la Venere, ma praticamente ovunque la fluidità è spezzata. Invece dell’ovale classico della figura di Venere, le braccia e la testa disegnano un arabesco medievale a forma di rombo con le linee a zig-zag. La lunga ciocca di capelli che avvolge il fianco destro si rifiuta intenzionalmente di seguirne le forme. Il disegno di Botticelli è sicuro e elegante, ma in ogni curva si sente il netto rifiuto del piacere…”
Ma Clark non si è spinto al di là della somiglianza e non ha cercato di stabilire un collegamento, basandosi sull’unità d’intenti dell’artista, tra gli elementi di questa triade: Venere-Madonna-Verità (Saggezza). Forse perchè gli studi risalgono a tempi diversi, con intervalli di anni e decenni.
La nostra seconda teoria si basa sul fatto che Michelangelo abbia riprodotto nella sagrestia Nuova la stessa triade di Botticelli. E qui Kenneth Clark non è più in grado di aiutarci non solo perché, dopo aver notato la somiglianza tra le figure di Botticelli, non si è reso conto del loro trinomio, ma anche perché non è riuscito, purtroppo, a dare il giusto valore alle statue femminili di Michelangelo nella sagrestia Nuova di San Lorenzo. In particolare Clark scrive che “i seni della ‘Notte’ sono ridotti a inutili appendici e il ventre, invece di essere una dolce modulazione di altre rotondità, è un baule sformato, solcato da quattro profonde pieghe orizzontali”[18].
A questo punto viene la voglia di fare una pausa per sottolineare ancora una volta quanto siano estremamente soggettivi i giudizi, pur autorevoli, su questa scultura di Michelangelo. Non concordo assolutamente con una simile valutazione e con me la maggior parte di coloro che hanno visto la scultura. Un altro storico inglese, Antony Huges, scrive, ad esempio, che i contemporanei di Michelangelo esaltavano la figura della “Notte” per il suo fascino[19].
E’ importante ricordare che Michelangelo creò la sagrestia Nuova di San Lorenzo come un tutto unico e iniziò questo lavoro quasi a cinquant’anni, quando a Roma era già stato consacrato come il maggior scultore e pittore. A Roma, non a Firenze. Qui il primato nella pittura apparteneva ancora a Botticelli.
Michelangelo non poteva non conoscere, non notare, non sentire la triade di Botticelli, anzi, forse ne conosceva in modo alquanto esatto la concezione e il significato, per averlo appreso sia da Botticelli stesso che dai suoi contemporanei.
Inoltre Botticelli fu il maggior pittore mediceo, il più amato dalla famiglia Medici, l’artista che riuscì a immortalare in un suo dipinto Cosimo il Vecchio, suo figlio Piero, i nipoti Lorenzo (il futuro Magnifico) e Giuliano (ucciso nella congiura dei Pazzi), tutti i principali componenti dell’Accademia Platonica. Anche dopo il loro allontanamento dal potere i Medici continuarono a aiutare materialmente Botticelli.
Di solito la “Nascita di Venere” viene messa in relazione con gli ideali neoplatonici e spesso con la poesia di Poliziano e le idee di Ficino, noti studiosi dell’Accademia Platonica.
Tra i possibili consulenti di Michelangelo all’epoca del lavoro sulla sagrestia Nuova di San Lorenzo viene indicato l’allievo più famoso del Ficino, che avrebbe potuto spiegargli le idee di cui un tempo i neoplatonici aveva reso partecipe Botticelli.
Si sa che Michelangelo e Botticelli si sono incontrati e possono aver avuto uno scambio di opinioni.
Lo storico dell’arte Antonio Paolucci ritiene che Botticelli fu il testimone e l’interprete più raffinato della élite del tempo e occupò la posizione migliore per comprendere lo spirito della sua epoca[20].
Nella sua lezione del 1874 il famoso storico Ruskin caratterizzò Botticelli come “il teologo più colto, l’artista migliore e l’uomo più affabile che Firenze abbia mai prodotto”[21].
Per dirla con parole semplici, si può essere certi che la triade di Botticelli: Venere-Madonna-Verità (Saggezza), o piuttosto un’altra immagine di Afrodite, non è casuale.
Nella “Pittura del ‘400” gli autori tedeschi parlano di affinità nell’opera di Botticelli tra le figure di Venere e quelle della Madonna[22].
“Era diffusa nel Rinascimento la raffigurazione di due Veneri a fianco, una delle quali rappresentava l’Amore Sacro e l’altra l’Amor Profano,”[23] scrive un autore inglese.
Michelangelo non poteva non conoscere e non vedere la triade di Botticelli. Il fatto che nelle sculture femminili della sagrestia Nuova si sia ispirato a Botticelli si vede dai disegni di figure femminili conservati alla Casa Buonarroti, dove, secondo l’opinione degli studiosi, si evidenzia un rapporto diretto con il ritratto di Simonetta Vespucci che è stata, a sua volta, “modella” di Botticelli[24].
Ma pare evidente che per Michelangelo la cosa più importante fosse dare concretezza e risultare vittorioso in quella disputa sulla pittura e la scultura che un tempo era sorta tra lui e Leonardo da Vinci. Michelangelo ha raffigurato la sua “Nascita di Venere” con la testa della dea che, contrariamente al dipinto di Botticelli, è già stata coperta da un velo. I capelli che ondeggiano al vento permettono al pittore di lasciare il viso della Venere quasi astratto e indifferente. Invece Michelangelo nella Venere-Aurora è riuscito con il marmo ad esprimere tutto attraverso la mimica del volto. La gamba sinistra della sua Venere “Aurora” affonda in una sostanza che altro non è se non schiuma marina.
La signora Edith Balas, professoressa dell’Università Carnegy-Mellon (Pittsbourgh, USA) nel suo libro “Una nuova interpretazione della Cappella Medici” riporta prove convincenti del fatto che la figura della “Notte” può e deve essere identificata con la gemella di Venere, la dea Afrodite, che è simbolo di saggezza, eternità e quiete, contrariamente all’interpretazione invalsa della figura di Venere-Afrodite, vista come divinità dell’amore e del piacere carnale[25].
Michelangelo creò le sculture della sagrestia Nuova nell’epoca successiva al Savonarola e non levigò il marmo del volto della sua Madonna, affinché non fosse così evidente la somiglianza con la figura di Venere nascente e la sua gemella Venere-Afrodite, che è strettamente collegata ai nomi conosciuti delle dee Ishtar, Astante, Cibele in quando grande divinità femminile della Madre.
La triade che Botticelli faticosamente elaborò in dieci anni della sua vita creativa (“Nascita di Venere”, 1484; la Madonna, 1487; e infine la “Calunnia”, 1495) è stata riprodotta anche da Michelangelo in dieci anni circa di lavoro sulle sculture della sagrestia Nuova di San Lorenzo. Il confronto e la discussione dei numerosi dettagli relativi alla triade di Botticelli e Michelangelo non rientra nei limiti di un breve saggio e sarà oggetto del libro attualmente in preparazione dal titolo “Gli enigmi della sagrestia Nuova di San Lorenzo”.
Il Rinascimento, che è riuscito così bene ai fiorentini del ‘400, non è un evento prettamente storico (cioè che è rimasto nel passato), ma è più che altro una guida del presente e della storia del futuro. I ricordi del Rinascimento sono sempre “ricordi del futuro”. Quando il Rinascimento farà parte del passato, vincerà il terrore e finirà la civiltà moderna. Non è un caso che l’annuncio della creazione della Società Fiorentina sia stato pubblicato sul giornale “Vremia novostej” (Il Tempo delle notizie) il 17 settembre 2001 con il titolo “Il Terrore e il Rinascimento”. Riportiamo il testo intero di quella comunicazione:
“La mattina presto del 27 maggio 1993 la mafia siciliana ha fatto esplodere a Firenze la Galleria degli Uffizi, famosa in tutto il mondo, e le case adiacenti. Le persone e i quadri sono morti nel sonno.
La galleria era un simbolo della cultura Europea. Il centro commerciale a New-York era un simbolo dell’economia e dell’architettura americana. Questo paragone dimostra che il terrore non è una lotta tra musulmani e cristiani, tra poveri e ricchi, tra estranei e connazionali. Il terrore è, prima di tutto, l’oppressione dello spirito e della civiltà in quanto tali.
La Società Fiorentina, costituita pochi giorni fa in Russia, è stata pensata ancora prima della tragedia americana. Dopo quella tragedia è come se il tema del Rinascimento risorgesse di nuovo: ora il Rinascimento è un “ricordo del futuro”, della possibilità della ripresa della civiltà dopo il tentativo di distruggerla…
La Società Fiorentina si pone come scopo promuovere la rinascita delle idee e dei valori del Rinascimento in Russia”.
Forse uno degli obiettivi della Società Fiorentina è quello di cercare di rendere partecipi, almeno un po’, della grandezza e del mistero del Rinascimento fiorentino.E’ come se questo mistero potesse essere scoperto adesso, alle soglie del nuovo millennio.
Parlava più o meno di questo nel suo libro “Il Diario Fiorentino” il grande poeta austriaco R.M.Rilke: “Siamo diventati pù adulti non solo per gli anni, ma anche per quanto riguarda i nostri scopi. Siamo arrivati ai pali di frontiera dell’epoca, e migliaia di persone hanno già tentato di scuoterli… Abbiamo bisogno dell’eternità, perché solo lei lascia spazio ai nostri movimenti… Cessate, almeno per un giorno, di essere moderni e vedrete quanta eternità vi portate dentro di voi. Quelli che sentono l’eternità sono al di sopra di ogni paura. Quando viene la notte vedono sempre quel luogo, da dove verrà il nuovo giorno, e non hanno paura… Le persone nate nella paura vengono nel mondo come in un paese straniero: esse non riusciranno a trovare la strada verso casa… Quindi smettete di vivere solo nel presente, diventate una specie di futuro per voi stessi.Andrete avanti, superando voi stessi, e allora non smarrirete la strada!”[26]
Rivolgersi a Firenze non è guardare al passato, ma piuttosto al futuro.E se non cè la speranza nel futuro la vita diventa impossibile. La Firenze del ‘400 è per noi un “ricordo del futuro”, la speranza del suo compimento. Non è un caso che nel corso delle discussioni della Società Fiorentina si passi con disinvoltura dal passato al presente e al futuro, da Firenze alla Russia, il tutto mentre si parla di Firenze e del grande fiorentino Niccolò Machiavelli, che fondò la scienza politica e cercò di dimostrare che la politica è un’arte ed è accessibile solo ai veri maestri. A quest’arte della politica possono essere attribuite le parole di Rilke tratte ancora dal “Diario Fiorentino”: “Sappiate che l’arte è la strada verso la libertà. Noi tutti siamo nati con le catene. Qualcuno se ne dimentica e le fa placcare in argento o in oro. Noi invece le vogliamo strappare. No, non con un unico movimento selvaggio e terribile, noi vogliamo semplicemente crescere, in modo che esse risultino troppo strette”[27].
Nel nostro Paese sono già state strappate le catene con un movimento “selvaggio e terribile”, per poi rimettersi addosso altre catene, più pesanti. Direi che è meglio imparare semplicemente a crescere per liberarsene.
Una volta, per rendere felice tutto il mondo, volevamo che su Marte fiorissero i meli. Mi sembra che sia molto più importante che a Mosca fiorisca il giglio fiorentino, come simbolo non del disgelo tanto spesso menzionato, ma della vera Primavera.
Nessun’altro meglio di Pavel Pavlovich Muratov ha detto di questa città: “Firenze è viva, e la sua anima non è ancora tutta nei quadri e nei palazzi. Lei parla con ognuno una lingua semplice e chiara, come la lingua della patria…”
In ogni modo, la Società Fiorentina è già accettata e riconosciuta dalla Signoria Fiorentina. Il logo della Società Fiorentina, il giglio sulla merlatura del muro del Cremlino, ideato da Alexander Zakharov, membro della Società, e relizzato dall’editore Andrei Sorokin, è profondamente simbolico. Come è noto, il Cremlino fu costruito con la partecipazione dei fiorentini. Così il rapporto tra la Russia e Firenze ha radici storiche profonde.
La Società Fiorentina vuole rammentare la grandezza e la possibilità dell’atto eroico spirituale, compiuto a Firenze nel ‘400. Forse si può ripetere questo atto o almeno tentare di ripeterlo, ma certamente in un altro modo. Non si deve rinunciare completamente all’utopia. Ogni tanto l’utopia si realizza. Questo suggerisce Firenze, che ha ispirato Rilke 100 anni fa:
I.Capisci, siamo veramente agli inizi,
Così, come se non ci fosse stato ancora niente,
Alle nostre spalle ci sono mille
E un sogno,
E niente fatti.
II.Non c’è niente di più beato per me,
Che sapere questo, l’Unico:
Che bisogna diventare un Fondatore.
Un qualcuno che scriverà la prima parola
Dopo un trattino, esteso
Per centinaia di anni.
Firenze è fiera che Ciaikovskij abbia composto qui la sua opera “La Dama di Picche”, e Dostojevskij vi abbia scritto il romanzo “L’Idiota”. Firenze li aiutò. Forse oggi lei puo aiutare un russo a fare qualcosa di grande[28].
La statua di Lorenzo alla Cappella dei Medici ha un alto nome diffuso, “Il Pensieroso”. Nonostante l'armatura, lui somiglia molto più ad “Il Pensatore”, che la quasi omonima statua di Rodin. A proposito, Lorenzo il Magnifico vinceva più volte i tornei dei cavalieri. Inoltre, era l'ultimo banchiere nella famiglia dei Medici, che capeggiava formalmente la rete bancaria paneuropea. È vero, che con ciò spendeva i soldi per la vita sociale e culturale di Firenze, per questo l'impresa bancaria è andata in decadenza. Le sue spese abbondanti per l'appoggio degli artisti, dei filosofi e degli scultori, compreso Michelangelo, in tanto gli hanno creato la gloria e il titolo informale del “Magnifico”.
Sotto il gomito sinistro della statua di Lorenzo si trova una piccola scatola, dalla quale fa capolino (oppure esercita solo la funzione dell'ornamento) la testa di un topo (alcuni dicono, che è un pipistrello).
C'è un'interpretazione, che risale ancora a Condivi, un discepolo di Michelangelo. In sostanza lui dice, che questo è un piccolo blocco di marmo, del quale lo scultore voleva scolpire un topo come simbolo del tempo che ci divora.
Più spesso è considerata come una cassa da denaro. La questione ci sembra importante, siccome per la statua del banchiere Lorenzo Il Magnifico una cassa da denaro è un simbolo appropriato, il che non si può dire di suo nipote Lorenzo, morto giovane, che regnava male la città di Firenze, e soprattutto non aveva niente a che fare con l'attività bancaria. Non era neanche notato come particolare benefattore.
La cassa da denaro può essere un diretto suggerimento, che la statua è dedicata a Lorenzo Il Magnifico, anziché al suo miserabile nipote.
Ma come definire con certezza, che questo cassetto sotto il gomito della statua abbia veramente a che fare con i soldi? E che c'entra un topo? Un suggerimento inatteso può essere ritrovato in Oriente.
Non rischeremo di dichiarare che la statua stessa di Lorenzo somigli per i suoi aspetti alle statue indiane, raffiguranti esseri divini e gli dei. La stranezza di questa statua per la tradizione scultorea europea, esistente prima di Michelangelo (compresa quell'antica), è notata da molti, ma ci vedono piuttosto l'impronta innovativa del grande scultore.
Cercheremo di limitarci con l'immagine del topo, che si associa direttamente con la divinità indo-buddista Ganesh, raffigurato con la testa dell'elefante.
Il topo è il mezzo di trasporto di questo dio, e generalmente un topo è raffigurato sotto la sua mano o sotto il piede, oppure (già notevolmente ingrandito) come il suo trasportatore. Nel periodo della nostra permanenza al Nepal, dove la tradizione mista indo-buddista è rimasta in quella forma in cui era sulla penisola Indostana cinquecento e mille anni fa, siamo riusciti a scoprire, che il topo di Ganesh, secondo la tradizione generica, si fonde, in pratica, ed esercita la stessa funzione, che l'animale analogo sotto il braccio del nume della ricchezza e del benessere Kubera (il nome buddista è Jambala). Ambedue gli animali producono (sputano fuori) pietre preziose, e sono simboli del “produttore della ricchezza”. Ciò si vede sulle tanka, disegni tradizionali buddisti su carta e su seta.
In un discorso con un'ex monaco buddista, attualmente pittore Lama Tsongal, abbiamo saputo, che la raffigurazione del topo di Ganesh come simbolo del produttore della ricchezza, uguale come quello del dio della ricchezza e del benessere, corrisponde ad un'antica tradizione di Kubera, caratteristica per Nepal e Tibet. Quindi ci sembra, che non si possa escludere che Michelangelo sapeva del topo come del simbolo del benessere e della ricchezza ed ha usato questo simbolo che gli era noto dalle immagini dipinte su seta o dalle statuine indiane.
Riportiamo in quest'opuscolo una serie d'illustrazioni che facciano vedere e confermino la tradizione della pittura e della scultura induista-buddista.
Può sorgere a qualcuno una domanda, se Michelangelo avesse potuto vedere immagini dei numi indiani? In relazione a questo vorrei ricordare, che soldati indiani furono registrati sulla terra dell'Antica Grecia come una parte integrale dell'esercito Persiano ancora nel 480 a.C.
Decisamente, un po' dopo, nel 4° secolo a.C., le guerre di Alessandro il Magno portavano dall'India le statuine dei numi fatti di avorio, oro ed argento.
Le “tanka”, ovvero “icone” indo-buddiste su seta, sono note dal 7° secolo d.C., mentre un commercio intenso con l'India attraverso il Mediterraneo nei tempi di Michelangelo potrebbe aver portato in Europa un numero notevole di statuine e delle “tanka” su seta.
Sono descritti i dialoghi di Socrate con un bramino indù, esiste anche un importante concetto storico, che Pitagora ha acquisito tante delle sue idee scientifiche e filosofiche durante il viaggio in India nel 6° secolo a.C. La distanza dalle città greche dell'Asia Minore all'India, a proposito, solo di poco supera la distanza a quelle città dalla Francia.
Il neoplatonismo, divenuto durante Lorenzo Il Magnifico l'ideologia statale di Firenze dei tempi della maturazione di Michelangelo, è nato in Alessandria, dove c'erano già allora la comunità induistica e quella buddista.
Non dimentichiamo inoltre, che il buddismo è più antico del cristianesimo di 6 secoli, mentre l'induismo ne è più vecchio di tre millenni.
La circolazione delle idee e delle immagini artistiche tra l'Europa e l'India c'era quasi sicuramente, e, a proposito, potrebbe essere un tema delle discussioni alle feste dell'Accademia di Platone a Firenze, dove, insieme ai famosi filosofi Poca della Mirandola, Ficino, Poliziano, veniva spesso anche Michelangelo adolescente.
Ricordiamo inoltre, che nella tradizione antica greca il topo si associa con Apollo e Dioniso, nonché quel fatto che gli antichi Greci parlavano dell'India come di un territorio sacro di Dioniso.
Speriamo che l'attenzione degli studiosi della Cappella dei Medici sia attratta al significato del simbolo del topo sito sotto il braccio della statua di Lorenzo, e che i nostri materiali possano essere in qualche maniera utili per valutare questo simbolo.
Fonte: Il testo succitato è un capitolo dal libretto multilingue di Pietro Barenboim e Alessandro Zakharov, anche intitolato “Il topo dei Medici e Michelangelo”, Letny Sad, Moscow, 2006.